Case Museo in Piemonte. Introduzione - Gianluca Kannès
Giornata di Studi | 6 giugno 2015 | Sala Milli Chegai | Teatro Iris – Dronero
Il Museo Mallé in ricordo di Milli Chegai
Case Museo in Piemonte
CASE MUSEO IN PIEMONTE
INTRODUZIONE
Gianluca Kannès
Rosanna Pavoni mi ha chiesto di introdurre questa giornata con una panoramica sulle case museo in Piemonte. Riassumendo, direi che ne abbiamo parecchie, ma che finora è mancato lo sforzo per ricondurle ad un progetto unitario.
Forse più di altre regioni il Piemonte registra la presenza fin dal Sei – Settecento di una sorta di incunaboli, edifici o ambienti legati alla memoria di un personaggio tenuti aperti, come la casa di Pietro Micca a Sagliano di Biella, da custodi che, a richiesta, li facevano visitare. Non esiste da noi niente di paragonabile alla creazione fra 1850 e il 1880 del Poldi Pezzoli a Milano; ma i contatti sono abbastanza stretti e profittano della saldatura operata nel cosiddetto gruppo di Rivara tra l’avanguardia del vero attiva a Torino e Genova e personalità che provengono dalla scapigliatura milanese. Saldatura che trova un momento di coagulo anche politico nei primi anni ‘70, quando fu ministro alla Pubblica istruzione Cesare Correnti, portavoce fortemente propositivo del grande collezionismo aristocratico milanese. Da lui, che comunque centralizza fin verso il 1880, attraverso l’amicizia con De Pretis, l’organizzazione della presenza italiana alle grandi esposizioni internazionali, provengono finanziamenti per “l’Arte in Italia”, la prima rivista italiana di settore che aveva la redazione appunto a Torino; ed è sempre sotto Correnti che si consolida l’ascesa di Boito, figura di cui penso sia superfluo sottolineare l’influsso su D’Andrade e il clima del Borgo Medievale di Torino.
Tra le ricadute di quest’epoca segnalo ovviamente Casa Cavassa a Saluzzo che, allineandosi ad altri esempi europei, era stata concepita dal proprietario, Emanuele Tapparelli, come prezioso contenitore per opere d’arte ma anche come decor per feste civiche. Poi Santena, che tutti conoscono come il sacrario cavouriano, ma che in realtà deve parte dell’assetto abitativo a Emilio Visconti Venosta: appunto uno dei grandi protagonisti delle insurrezioni antiaustriache e del collezionismo aristocratico milanese. E aggiungerei che il riarredo ad opera dei Savoia Aosta di Palazzo Cisterna a Torino mi è sempre apparso un suggestivo corrispettivo, anche come date, della raffinata operazione di promozione dell’alto design condotta dai fratelli Bagatti Valsecchi in Lombardia.
La tematica delle Case Museo conosce ai giorni nostri un momento di rilancio e particolare attenzione e questo ci porta alle ragioni del presente incontro. Come penso immaginiate, non è facile dare una definizione di cosa si intenda oggi per casa museo perché a livello internazionale vengono comprese sotto questa sigla realtà divergenti, alcune che conservano l’arredo originario, altre no: ciò che le accomuna è però il fatto che tutte traggono la propria vitalità da un elemento immateriale che va al di la dei singoli oggetti esposti, e cioè dall’aura del vissuto di un personaggio, di una famiglia, di un’epoca. Allestire una casa museo significa così non tanto mettere in valore una collezione, ma approfondire quest’aura e renderla il più possibile percepibile per il visitatore. Il senso di una visita viene dalla lettura degli spazi, dalle suggestioni che emanano le fotografie d’epoca, da ciò che i particolari di arredo lasciano intravedere o immaginare. Ma perché il tutto funzioni occorre che si abbia una idea chiara del messaggio che si vuol trasmettere, e che a questo vengano subordinate tutte le scelte di allestimento. Se, per esempio, l’obiettivo è quello di dare una idea di come viveva Giulia di Barolo nel 1830 e durante i lavori si scoprono nella sua camera da letto degli affreschi del Quattrocento che lei non vedeva perché all’epoca erano coperti da intonaco, ci si deve chiedere se sia opportuno valorizzarli, e in questo caso si racconta la storia delle trasformazioni nel tempo della dimora; o se non è meglio neutralizzarli, poiché stridono con la narrazione a cui si vuol dare la priorità. E’ la chiarezza nell’articolazione di un messaggio e di una narrativa, qualunque essa sia e qualunque medium venga utilizzato, che, a quanto abbiamo dibattuto nel Demhist (Demeures Historiques, International Committee for Historic House Museums) e nella Commissione Case Museo Italia, fa la differenza tra un Museo e una semplice dimora o casa storica visitabile. Da qui l’idea di questo incontro: vorremmo discutere, con gli istituti che vi partecipano, a che punto si collocano in questo percorso e che difficoltà possono incontrare a perfezionarlo.
Non solo. Tutti conoscono, credo, il circuito delle Case Museo di Milano, che facendo capo a una di quelle storicamente più autorevoli, il Poldi Pezzoli, lega fra loro dal 2008 Casa Boschi di Stefano, Palazzo Bagatti Valsecchi, Villa Necchi Campiglio con l’idea di favorire la reciproca pubblicità e l’interconnessione delle visite. Meno noto è un progetto che si è affiancato di recente, il circuito delle “Storie milanesi” (trovate informazioni cliccando appunto su internet “Storie milanesi”), che raccoglie fra loro 14 istituzioni, prevalentemente fondazioni, che conservano l’archivio e l’atelier di artisti che hanno avuto un ruolo importante nel boom del design italiano negli anni 50 e 60 del Novecento. L’idea, in entrambe i casi, è quella di utilizzare il contatto con il vissuto che l’esperienza di una casa museo consente per promuovere la conoscenza di due secoli di vita milanese, così come la si può filtrare attraverso lo sguardo e il contributo di alcuni fra i suoi principali protagonisti. Mi sono chiesto se non sia possibile stimolare, anche in Piemonte, qualcosa del genere: abbiamo molte strutture piccole, appartamenti o luoghi storici che potrebbero forse venire aperti al pubblico se lo staff di qualche istituzione maggiore contribuisse a coorganizzarne la visitabilità.
Termino concentrando l’attenzione su due musei che non sono presenti in questa sede ma che mi sembra offrano ineludibili spunti di riflessione. Uno è la Casa di Nuto a Santo Stefano Belbo: Laurana Lajolo ha purtroppo comunicato ieri che un attacco di labirintite la costringe a rinunciare al suo intervento. Nuto è Pinolo Scaglione, il personaggio al quale Pavese si è ispirato per uno dei suoi libri più celebri, “La Luna e i Falò”. Il laboratorio, di vita prima ancora che di falegnameria che era il centro di quel mondo, era giunto al 1990 quasi intatto così come lo aveva visto Pavese ed ha formato oggetto nel 1993 di un primo allestimento a museo che non mi convinceva completamente per motivi conservativi: Pinolo Scaglione viveva nel disordine più completo, musealizzare l’ambiente aveva significato allora cristallizzarlo nel disordine di partenza, con libri e giornali sparsi dappertutto, protetti da cellophan ma assediati dalla polvere etc. Nel riallestimento del 2008 questo vissuto è stato in parte sacrificato a favore di una narrazione indubbiamente più chiara. Ci sono vantaggi: si sta adesso più tranquilli sulla conservazione di carte e oggetti; ma indubbiamente la cosa ha comportato sacrifici e l’intervento della Lajolo sarebbe stato interessante proprio per approfondire il problema degli equilibri da tenere in queste situazioni.
L’altro museo è la Casa dell’architetto Carlo Mollino in via Napione a Torino, che a partire dall’anno scorso è eretto in fondazione e regolarmente aperto al pubblico. Ho provato a invitarlo a questo incontro ma chi lo rappresenta, e cioè in sostanza i proprietari dell’immobile, mi ha risposto, testualmente, che a loro poco interessa far conoscere la casa in Piemonte, anzi. Gli ambienti sono piccoli; a farli vedere sono loro, i proprietari, che quindi non desiderano venir disturbati più di tanto; Mollino è più celebre all’estero che in Italia quindi quel target di pubblico di élite e di specialisti o collezionisti che a loro interessa è già assicurato tramite internet.
Riferendo le cose così sembra che stia facendo una critica e invece a mio parere si tratta di una scelta molto giusta e molto interessante. Dobbiamo anche porci il problema dell’usura alla quale sottoponiamo le case museo aprendole a un turismo indiscriminato e d’altra parte, nella attuale crisi del museo come istituzione pubblica, occorre trovare modelli di gestione innovativi, più sperimentali ed agili di quelli a cui siamo abituati.