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Il museo Mallé e Milli Chegai - Elena Ragusa

Giornata di Studi | 6 giugno 2015 | Sala Milli Chegai | Teatro Iris – Dronero

 

Il Museo Mallé in ricordo di Milli Chegai
Case Museo in Piemonte

 

IL MUSEO MALLE’ E MILLI CHEGAI

Elena Ragusa

 

 

Ho avuto la fortuna di lavorare con Milli per tre anni, forse anche di più, il tempo necessario per impostare e realizzare il Museo Mallé che è stato inaugurato il 23 giugno 1995. Un tempo lungo per me, scandito da fine settimana a Dronero a casa sua di full immersion su tanti problemi che questa variegata, complessa collezione poneva, un lavoro intenso ma sempre alleggerito dal divertimento della scoperta e dal sottofondo della buona musica.
Posso dire senza ombra di dubbio che, pur avendo avuto molte altre occasioni di collaborazione, questa è stata quella per me più arricchente dal punto di vista umano. Voglio ricordare che non eravamo soltanto Milli e io impegnate nella costruzione del museo, il nostro sicuro referente conforto era Elda Gottero che era la persona che teneva i rapporti con il Comune e quindi con tutte le difficoltà del caso.
Questo trio di donne affiatato e appassionato è stato il cuore della progettazione e delle tante sfide, dei tanti problemi che in questi anni abbiamo dovuto affrontare.
Il lascito che Mallé aveva fatto nel 1979 a Dronero non era facile da mettere alle strette. Innanzitutto erano, sono oggetti diversissimi come già stato detto, dai dipinti ai disegni, alle stampe, alle foto, ma anche agli oggetti di minuto collezionismo come i dischi, i libri ma non la sua intera biblioteca. Un bello spaccato della sua vita di studioso ma anche la sua vita privata; dalle scatole del tè ad appunto i dischi e i libri che però era difficilmente musealizzabile.
La collezione era stata immagazzinata in scatole che, Milli e io, aprivamo una a una tentando di identificare i pezzi nell’inventario che era stato stilato da Piero Camilla. Spesso ci si imbatteva e senza, devo dire, imbarazzo e pena in oggetti personali, per esempio mi ricordo il montgomery, il cappello, oppure ci si imbatteva in oggetti dove veniva fuori un po’ il suo aspetto maniacale per il collezionismo, mi ricordo le scatole del tè che ci avevano colpito.
Affrontata questa prima fase, molto faticosa e anche affascinante di ricognizione inventariale e di identificazione nell’elenco stilato da Piero Camilla, siamo passate alla fase di approfondimento e quindi alla fase di vera e propria catalogazione svolta, per la parte dei dipinti, da Paola Soffiantino, come conservatore dei Musei Civici di Torino. Insieme a Milli abbiamo ritenuto che per anche le altre, come si può dire, “sezioni” del lascito ovvero le porcellane, i vetri, le incisioni, i mobili, anche se non c’erano le forze economiche per poterle far catalogare compiutamente, abbiamo affrontato il lavoro di stilare dei repertori completi con dei dati anagrafici che sono stati pubblicati nel catalogo e che sarebbero serviti da allora in poi alla gestione e alla conoscenza del patrimonio museale.
Il fondo delle fotografie storiche, cospicuo e importante, fascinoso come tema proprio per la presenza di grandi nomi conosciuti, ma anche di misconosciuti fotografi operosi in territorio cuneese, ha subito catturato la curiosità di Milli che da quel momento ha dedicato tutta la sua attenzione, curando in maniera ineccepibile il repertorio pubblicato nel catalogo e proseguendo poi la ricerca nelle successive iniziative del museo.
Ho visto, per esempio, che nel 2000 aveva invitato all’interno dell’evento “Tracce di memoria senza oblio” la d’Alessandro come presidente della sezione fotografia per la sua, come dire, esperienza sulla materia; quello era un tema forte del museo che tante volte abbiamo discusso ed è anche un tema che può avere quei collegamenti con il territorio che il resto della collezione non ha, essendo una collezione che Mallé aveva a casa sua a Torino e che è stata portata qui come lascito testamentario e che con il territorio non ha legame.
Le foto invece erano una miniera e continuano ad essere un tema secondo me che può essere suscettibile di molti sviluppi. Le scelte prese allora insieme a Milli partirono dalla valutazione della figura di Mallé quale studioso, conservatore e direttore dei Musei Civici di Torino ed evidenziarono le opere più significative che andavano ad illustrare i suoi interessi scientifici e le sue passioni.
E’ chiaro che bisognava fare una selezione di tipo qualitativo sostanzialmente anche perché, come tutti noi sappiamo, gli spazi a disposizione erano ridotti rispetto a quelli originali perché nel frattempo la casa era stata ristrutturata. Dal 1979 a quando noi abbiamo fatto il lavoro, e al pian terreno aveva trovato luogo la Biblioteca Civica, non si era tenuto presente il fatto che nel tempo a venire sarebbe stato allestito il Museo. In quella maniera si è in qualche modo preclusa una possibile esposizione nella casa di queste cose che però insisto, non erano lì ma erano state portate da Torino. Perché questa era la casa dove Mallé si ritirava e dove lui veniva a studiare; si chiudeva in casa e studiava come un forsennato, quindi anche se la casa avesse mantenuto le sue caratteristiche da casa borghese non so quanto avremmo potuto…ci siamo tanto interrogati su questo fatto però alla fine è stato deciso di tenere presente la figura di studioso, i suoi interessi e le sue passioni selezionando i materiali e le opere più significative.
Mallé, in vita, non aveva grandi rapporti con Dronero, proprio perché era il suo guscio in cui lui si pacificava studiando; aveva pochi rapporti anche localmente. Mi ricordo che Milli aveva parlato molto con queste signorine Acconci e avevamo capito e pensato che era necessario all’inizio fornire dei dati biografici; non era detto che tutti sapessero a Dronero chi era Luigi Mallé oppure lo conoscevano come il signore che si chiudeva in casa, che veniva a studiare ed usciva per comprare i droneresi alla pasticceria. Si era quindi impostato un lavoro di documentazione e di esposizione in maniera assolutamente extra economica, ricordo con Elda quei cartoncini scelti da Milli del colore giusto, le vetrinette davanti, poi c’era anche l’architetto Walter Isoardi che ci dava una mano.
Insomma tutto fatto come in famiglia.
Avevamo studiato queste piccole bacheche che illustravano la biografia di Mallé, chi era, dove era nato, come mai questa casa, chi erano i suoi parenti e poi qual è stata la sua vita di studioso conservatore e poi direttore dei Musei Civici. Questo è un aspetto che secondo me, al di là delle ristrutturazioni fatte nel museo per esigenze funzionali, dovrebbe essere in qualche maniera recuperato proprio perché è una figura che non è detto sia così conosciuta, ma non solo a livello locale.
Adesso, a vent’anni dall’inaugurazione, sicuramente il Museo può essere rivisitato. Direi che sostanzialmente il metodo, che è stato seguito da Milli e da me, era forse l’unica possibilità di fronte a questa collezione slegata dal territorio e di fronte ad una figura che aveva avuto un suo spessore anche nelle ufficialità dei ranghi del Museo Civico. Certo però bisogna immaginare dei nuovi sviluppi, delle linee guida che possano far vivere questo Museo perché così di per sé stesso è una collezione chiusa. Quindi bisogna interrogarsi su quello che il Museo può suggerire ma anche quello che può ospitare, che sia nelle sue corde.

 

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